Il termine inglese mindfulness viene spesso usato per tradurre un termine pali presente nei primi insegnamenti buddhisti: sati che indica una forma di attenzione piena e consapevole. In Oriente la natura della mente viene studiata e descritta in modo incredibilmente preciso da migliaia di anni e la pratica della meditazione è la via indicata dal Buddha per addestrare la nostra mente a essere più consapevole e disciplinata all’interno di una vita basata sull’etica. Ora, il discorso ovviamente è un bel po’ più complesso di così, mi pareva però importante contestualizzare l’origine del concetto di presenza mentale che, insieme alla parola mindfulness, potresti avere sentito ovunque e in ogni salsa possibile, negli ultimi anni.

La natura della nostra mente è di essere molto attiva e di generare e trasportare i nostri pensieri di qua e di là, di solito tra passato e futuro. Ti sarà capitato di accorgerti di stare rimuginando su una conversazione avvenuta poco prima o su cosa devi fare nelle prossime ore o nei prossimi giorni, su vari argomenti e persone oppure di essere stata proprio assente per qualche tempo, tipo blackout, come quando ti trovi in un luogo ma non sai bene come ci sei arrivata.

Passiamo la maggioranza del tempo assenti o distratte e questo da un certo punto di vista è naturale, nel senso che la nostra mente, se non allenata a fare diversamente funziona così. Inoltre l’iperconessione, l’assuefazione al multitasking e i ritmi di vita sempre frenetici aumentano queste tendenze innate. Per abitudine viviamo la maggioranza del tempo con il pilota automatico inserito. Perchè è apparentemente più facile, infatti la presenza richiede una buona dose di impegno, ma sopratutto perchè non ci è stato insegnato a fare diversamente.
Nella nostra cultura infatti non è prevista fin da bambini l’educazione alla pratica della meditazione per sviluppare quelle qualità come la presenza mentale e l’attenzione che ci aiutano a vivere meglio e più pienamente, oltre che farci allontanare dalla sofferenza.

La buona notizia in tutto questo è che non è mai troppo tardi per iniziare a coltivare una maggiore presenza e consapevolezza, anche perchè l’unico momento che abbiamo davvero a disposizione è il presente. Che poi è anche l’unico tempo sul quale abbiamo un potere reale per quanto parziale.

Da dove iniziare allora? Per iniziare a coltivare la capacità di essere più presente puoi allenarti in molti modi e tutti passano dall’esperienza perchè non c’è una via altrettanto efficace che quella pratica per educare la propria mente. Come dicevo più su a volte capita di accorgerti di essere stata altrove con i pensieri. Bene! Accorgersi è proprio la parola chiave per imparare a tornare presente. Puoi intanto iniziare a notare e a festeggiare ogni volta che ti accorgi di essere “tornata”. E’ già un inizio.

Puoi poi iniziare a mangiare in maniera più consapevole, che non significa solo avendo cura di scegliere di cosa nutrirti, ma anche di assaporarlo, gustarlo con tutti i sensi, partendo ad esempio dal caffè mattutino. Puoi dedicare ogni giorno qualche tempo a una camminata fatta con presenza o al respiro. Puoi scegliere delle azioni che ripeti ogni giorno varie volte, come lavarti i denti o le mani, e impegnarti a essere presente ai gesti che compi in quei momenti. Questi sono solo alcuni esempi e spunti di riflessione, non devi metterli tutti in pratica subito. Scegli qualcosa che senti di poter introdurre con costanza nelle tue giornate, senza giudicarti né biasimarti se ti dimentichi di farlo.
La presenza è una questione di attenzione e lucidità, di concentrare tutta la tua attenzione in quel momento, ma anche di pazienza e amichevolezza con te stessa. E’ anche una forma di cura di ciò che si sta facendo o della persona con la quale si sta parlando.

Quando siamo presenti ci rendiamo conto delle cose così come sono, e potrebbe succedere di accorgerci che c’è qualcosa che ci infatidisce o che non ci piace di ciò che stiamo sperimentando. Per me ad esempio è stato un ottimo modo di smettere di fumare tanto tempo fa. Mi accorgevo quali erano le sigarette che desideravo davvero e quali invece erano per noia, per stress o altro e con il tempo ho iniziato a sentire le reazioni del mio corpo, il disgusto, il piacere, il sapore sulle labbra e l’odore sui vestiti. E così alla fine ho smesso senza nemmeno accorgermene, o meglio, accorgendomi di tutto!

E’ vero che aprirci alla presenza mentale ci apre anche le porte a sentire con maggiore intensità le emozioni difficili e il corpo con tutti i suoi messaggi e questo potrebbe non piacerci o essere un’esperienza troppo intensa per qualche persona. Per questo è un allenamento che si fa gradualmente. La vita ci chiede di sentire oltre che di pensare. Abbiamo un corpo e una mente-corpo proprio per permetterci di vivere il più pienamente possibile, anziché essere anestetizzate o perennemente immerse in una sorta di trance. Certo, la vita è spesso faticosa e non ci risparmia sfide e sofferenze, ma in fondo è proprio questo il gioco credo, gustarci tutto a pieno per andarcene sazie e senza rimpianti.

Ti lascio con una riflessione di Thich Nhat Hanh il maestro zen che più di tuttə ha saputo guidare le persone verso una piena presenza nel qui e ora.

“Perciò la presenza mentale è al tempo stesso un mezzo e un fine, il seme e il frutto. Quando la pratichiamo per sviluppare la concentrazione, la presenza mentale è un seme. Ma la presenza mentale è di per sé la vita della consapevolezza: se c’è presenza mentale c’è vita, e quindi in questo senso è anche il frutto.”